Per non dimenticare

Un'esperienza personale che vorrei condividere con quante più persone possibili. Pochi minuti di lettura per NON DIMENTICARE.





Un viaggio diverso questa volta.. si parla di storia, di quanto successo, di qualcosa di terribile, durato anni. 
Uno sterminio di milioni di persone, ebrei, rom, gay, malati, politicamente contrarie.. persone portate con l'inganno, promesse di lavoro, di una vita migliore. Persone richiuse ormai da tempo in ghetti. 

Portate tutto ciò che indispensabile, pentole, coperte, beni di prima necessità, il viaggio durerà un paio di giorni, invece poteva durare anche 7 giorni, il cibo e l'acqua al secondo giorno erano finiti ed una prima selezione avveniva naturalmente. 

Il treno inizialmente si fermava fuori dal campo, ad un km e mezzo dall'ingresso, ma per velocizzare il tutto ed evitare che qualcuno scappasse, i binari, sono poi stati prolungati fino all'interno del campo, permettendo già la discesa separata uomo-donna.



Scesi dal treno, veniva data una direzione, chi andava a destra, poteva "fortunatamente" fare la doccia, dopo il viaggio estenuante. Non bisognava creare il panico! Mi raccomando, memorizzate il numero del gancio dove appendete gli abiti, così dopo la doccia, non rischiate di smarrire i vostri beni. Sulla valigia, scrivete il nome, il cognome, l'indirizzo. 
Chi andava a sinistra, invece, era ritenuto valido per lavorare, veniva quindi registrato, percorreva un tragitto insieme a persone conosciute e non, in cui doveva spogliarsi, lavarsi davvero, veniva rasato dalla testa ai piedi e vestito con una divisa adatta alle "4 stagioni". 
Poi si veniva fotografati, (e nonostante la consapevolezza acquisita, alcuni sorridevano), ma visto il costo dell'operazione e visto che le persone, a distanza di un solo mese erano già irriconoscibili, si è poi adottato il tatuaggio. Un numero ovviamente. Non eri una persona.

Se si aveva la fortuna di esser ritenuto valido anche per ruoli un po' più importanti, si riusciva a vedere anche due inverni, altrimenti la durata massima di vita, era di circa di 3 mesi. 
Una donna salvata, a fine guerra, entrata nel campo, solo 3 mesi prima, del peso di 47 kg, dopo un mese di cure ospedaliere dal ritrovamento, aveva raggiunto un peso di soltanto 23 kg. In così poco tempo nel campo, aveva perso più della metà del peso corporeo.

La mattina, in un'ora si doveva essere pronti e le persone erano moltissime, per cui si era costretti a scegliere tra lavarsi, andare in bagno o fare la coda per ricevere quello che era chiamato "caffè". 
Per cena invece, zuppa (preparata con bucce o con cibo ormai avariato, portato nei vari viaggi dai deportati) con un pezzo di pane. Ai primi veniva data praticamente solo acqua, perché era sul fondo che si accumulavano i residui solidi. 





Di inverno si lavorava 9 ore con raggiungimento del luogo di lavoro a piedi e a volte era a 7km di distanza. D'estate si lavorava invece 12 ore. C'era più luce! 
Ritornati nel campo bisognava fare l'appello, e se tutto andava bene, durava circa un'ora, ma se per caso mancava qualcuno, poteva durare anche 19 ore, in piedi, all'aperto e senza poter fare nient'altro. 
Poteva capitare che qualcuno morisse sul posto di lavoro, questa persona doveva esser riportata al campo, dagli altri, (di peso, sulle spalle, trascinato..) proprio per esser presenti all'appello!

All'interno del campo, vi era una prigione. Il Canile! Una prigione all'interno della prigione! Era nei sotterranei della costruzione dedicata alle SS (uffici). Dotata quindi, anche di riscaldamento, ma che veniva acceso in estate, come ulteriore punizione! Erano stanze 90x90, in cui venivano messe anche 4 persone insieme, ed era il luogo dove trascorrere la notte, dove in teoria ci si doveva riposare per affrontare la giornata lavorativa. 

Poi c'erano i kapò, i detenuti scelti come responsabili della disciplina e sorveglianti dei lavori degli altri detenuti. Distribuivano pedate, pugni, atti così duri, che persino, le SS, a volte intervenivano uccidendoli, poiché ritenuti troppo violenti. 

Si era costretti a scrivere lettere ai propri cari, post datate, rigorosamente in tedesco, con contenuti "felici". Il foglio di carta, però costava. 3 pezzi di pane! 3 giorni quindi di rinuncia al pane, per poter scrivere una lettera, non richiesta.

C'erano le reti in cui correva corrente elettrica e la morte poteva essere veloce. Le sentinelle, non appena vedevano qualcuno avvicinarsi alle reti, sparavano ancor prima dell'effettivo avvicinamento. Era lungo e faticoso staccare un corpo dalla corrente! 
A volte, per puro divertimento, costringevano qualcuno ad avvicinarsi alle reti, solo per avere la scusa di uccidere qualche detenuto. 





E ancora Josef Mengele, medico, con l'ossessione della purezza razziale. Un folle! Lui che vivisezionava le donne che avevano dato alla luce gemelli, per poter trovare un modo, affinché le donne di razza ariana, potessero avere parti gemellari. 
Numerosi esperimenti a discapito di bambini, di esseri umani. 
Sterilizzazione delle persone considerate "socialmente inadeguate" (tra questi epilettici, talassemici...).

E poi... 
ci sarebbero ancora tante cose da raccontare, come insegnano la storia, i libri, i documentari, ma se posso permettermi, consiglio a tutti, di affrontare un viaggio di questo tipo. Solo vivendo i posti, si riuscirà probabilmente, davvero, a non dimenticare. 

Abbiamo portato anche i bambini. Da alcuni scelta condivisa, da altri no. Di bimbi, nei campi, ne sono nati (unica realtà da loro vissuta) e ne sono morti tanti. 
Abbiamo cercato di prepararli prima della partenza, spiegando loro, gli argomenti, e guardando insieme "La vita è bella", fermandoci tutte le volte necessarie per poter argomentare in modo accurato. 

Noi siamo stati ad Auschwitz e a Birkenau, in Polonia, ma ci sono anche Praga, Berlino.. Sono viaggi brevi in aereo e relativamente economici, ma che lasciano davvero tanto.

Non appena entrata, sono stata avvolta da un odore intenso, misto tra ferro, metallo e cenere.
L'immensità degli ettari di terra di Birkenau, mi ha lasciata senza parole, sconvolta da tanta grandezza a cielo aperto. 
Ripercorrendo il tutto, mi sono sentita sola e vuota. 



Ho cercato di pensare a cosa si aggrappassero per trovare la forza di continuare a vivere e oltre alla motivazione religiosa, l'amore per le famiglie, lo spirito della sopravvivenza, l'unica cosa che, forse, poteva dar loro speranza, era, il cielo. L'evoluzione continua, sopra le nostre teste, in quelle poche ore trascorse lì... la speranza che tutto potesse finire quanto prima per ritornare a vivere... davvero!



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